Sulle montagne brulide e un poco alte dei monici remiti, c'era un convento di tipo religioso: il
convento di Santo Iemma. Quivi c'erano una trentina di frati, tutti maschi e scilati: ma le loro
tonache erano sempre linde, anche perché se qualcuno impistava, il padre superiore vescobolo mastro Ferretto ci avrebbe fatto passare i guai peggiori, i guai del secolo:
l'Aids.
Tutti portavano il rosario in mano, la clabustra ben stretta ed il rototonzo accuratamente
rasato; ma non erano molto fedeli ed ingrossavano a dismisura: tanta era la ventra di Frà Casso che un giorno un suo combagno ci disse una battuta offensiva. E poi
pensavano sempre alle cose muscite: uno si sognava di partorire, l'altro ci diceva che era stato
lui e l'ultimo se ne stava solo solo acercare di trovarsi il cillo. E come se non bastasse, in quel
convento regnava anche tanta ingordizia: se uno si comprava un olocausto nuovo, tutti ci dicevano che ce lo dovevano grattare di nascosto; o se uno si metteva un po' di gelloide sul rototonzo tutti pensavano che era un brutto ragazzo. Si diceva in giro perfino che erano tutti latroni e zaccagnini e che nel convento erano entrati a sgroscio.
Forse era così, ma tutti
avevano dimenticato il povero Fra Cicone Filini: questi era un essere così umile ed
ingenuo che ciò che pensava, lo pensava alla mersa. Fra Cicone Filini era di statura
bassina, zigomi alti, membra a scacchi, occhi a cacio ed un'enorme scioscia. Egli era molto
giovane ed incosciente, ma molto buono per quanto riguarda per i rapporti con gli altri: ci faceva i favori a tutti ed era contento. Era tanto gentile che quando giocavano a carte, a gialappa o a schittino, ci piaceva perdere e poi faceva tante preghiere dal Pater Noster all'Amodio.
Tutti
nel con vento invidiavano la bontà di Fra Cicone Filini e così decisero di portarci in camera una trocca con le nenné da fuori, e, come c'era da aspettarsi, appena la vide ci disse -"Sorella Luna"- e ci regalò pure una licchellach
all'anguilla.
A quel punto ognuno realizzò d'arrendersi: quello lì era un santo,
un vero guru baba delle montagne. Fu così che tutti i frati lasciarono il convento perché si mettevano avvergogna ed il mistico Fra Cicone Filini restò
così solo e triste che gli venne un grosso urcolo sul naso: questo ci fece capire tante
cose.
Poco tempo dopo, il povero frate prese la valigia e si stabilì in paese dove
ritrovò la vecchia trocca e, mentre ci diceva una poesia in dialetto rigagnolo, si sentì dire da lei che si sarebbero sposati e avrebbero fatto cic e ciac nel letto.
E l'urcolo, all'improvviso scombarì.
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